Natalia Wiernik
Le sue fotografie pongono domande, non danno risposte e la domanda sembra essere sempre la stessa; ricorre in tutte le serie di immagini strane, piatte e ferme, senza tempo o senza spazio che contraddistinguono il suo lavoro. La domanda gira intorno all’essenza dell’identità, di un luogo, di una persona, di un gruppo, o anche di un animale, o un oggetto. Cos’è l’identità? É qualcosa che esiste di per sé? Si perde o si definisce in un contesto? É l’ambiente circostante che determina un’identità o la cattura facendola scomparire? È un po’ questo quello che sembra frullare nella testa della giovane fotografa di Cracovia, Natalia Wiernik, solo 27 anni ma tanti premi ed esposizioni.
Tutte le serie sono molto interessanti e tutte studiano il relativo, ciò che acquisisce forma e senso in base alla persona.
Thanksgiving è un esperimento della centralità della percezione. Serie di immagini che rappresentano il ricordo di qualcosa appartenente al passato e che con il tempo subisce la trasformazione nata dalla confluenza di vari input che il soggetto percepente ha subito nel suo percorso di vita.
In Attributes, invece, in evidenza sono i segni particolari di ognuno di noi. Le inquadrature mettono in risalto le specificità del soggetto, quelle che costituiscono la sua identità e lo rendono unico.
Con la serie The protagonists, che le è valsa la vittoria del premio per la sezione Studenti del contest fotografico Sony world photography 2013, Natalia propone ritratti di gruppi di esseri umani, attraverso i quali analizza l’essenza dell’identità dell’essere umano in relazione agli altri, sotto la percezione dello sguardo spettatore, che gioca un ruolo fondamentale nell’interpretazione delle opere. La serie raffigura famiglie, autentiche oppure no, intese come gruppi di persone unite da: “… una corrispondente esperienza, valori comuni o una vicinanza emozionale”. Le loro figure emergono da uno sfondo con il quale, nello stesso tempo, si mimetizzano. Tale sfondo le partorisce e le risucchia in un ingannevole gioco visivo. Centrale è la funzione dello spettatore che crea l’essenza dell’opera:
“ …. is the spectators who make the pictures”
(M. Duchamp)
La fotografia di Natalia sembra, forse inconsciamente, relazionarsi alla filosofia dell’Heidegger di Essere e Tempo, in cui il filosofo definisce l’essenza dell’Uomo. Lo chiama «Esserci», in cui quel ‘Ci’ definisce la necessaria relazione dell’uomo con gli altri e con le cose. L’uomo esiste solo in relazione con gli altri e con il mondo. L’uomo esiste nel mondo. É progetto gettato. È gettato in una realtà già esistente, come, quindi, presenza passiva, ma è nello stesso tempo progetto, il che implica un attività dello stesso. Grazie all’angoscia esistenziale della morte, si rende conto delle sue possibilità e comprende se stesso solo grazie alla comprensione di queste. In questo quadro l’uomo esiste per comprendere se stesso nella relazione con gli altri e nell’utilizzo delle cose che trova sul suo cammino. Il mondo, dunque, esiste come entità data, ma assume la funzione solo in base all’utilizzo di cui l’uomo ne fa.
Nella serie non places, la giovane artista prende in esame l’identità del luogo, come oggetto dato e costituito. É il non luogo di Marc Augè che si oppone al luogo.
«Luogo e non-luogo sono opposte polarità: il primo non è mai completamente cancellato, il secondo mai totalmente completo; sono come palinsesti in cui il confuso gioco dell’identità e delle relazioni è continuamente riscritto»
Scolpito con la macchina fotografica, il più emblematico di questi ‘non-places’, il centro commerciale, è un non-luogo in cui le persone vagano, sole, senza interagire tra loro. Assorbite in un caotico via vai, si incrociano, ma non si parlano, si sfiorano ma non si toccano. Ma ciò che sta di fronte a noi ora è uno spazio buio, monumentale, fisso, statico, piatto e senza traccia di vita. La Wiernik porta all’esasperazione questo concetto, lo pompa fino all’interpretazione più estrema di esso, fotografando ciò che è solitamente un non-luogo, nel momento in cui perde anche questa più insulsa e infima funzione; di notte quando, a luci spente e vuoto, appare per quello che è veramente, rivelando semplicemente un qualcosa di perfettamente costruito, simmetricamente disposto; un enorme edificio che non ospita altro che un metafisico spazio disabitato.
Le sue fotografie sono accattivanti, ricche di senso ma anche di una forte personalità, soggetti interessanti e ambientazioni futuristiche, colori più o meno forti, scene tra l’inquietante e il sarcastico. Solo 27 anni ma uno spirito energico e grintoso. Occhio alla studentessa di Cracovia. Piccola ma molto in gamba. Attendiamo con ansia la prossima serie in mostra.
Emma Gambardella








