È in libreria “Paesi Invisibili”, il nuovo libro dell’antropologa Anna Rizzo che ci propone un racconto sincero e lucido del borgo italiano

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La vita nei borghi, si sa, è come un’esistenza separata rispetto al tumulto delle grandi città e, anche se fanno parte dello stesso territorio, ogni piccolo centro custodisce dei linguaggi, dei simboli e delle abitudini tramandati da tempi lontani, che rendono le cittadine italiane tutte diverse e irripetibili.

Incastonati tra le montagne del Nord, affacciati su panorami mozzafiato e scorci incantevoli sul mare, i comuni di ogni regione d’Italia costituiscono un microcosmo unico e speciale, capace di affascinare con la bellezza dei loro ambienti e gli antichissimi costumi che custodiscono.

Come ogni aspetto della realtà che suscita interesse, non ci è voluto tanto affinché questo lifestyle particolarissimo si trasformasse in un’esperienza da vendere, e negli ultimi anni ha preso forma un settore specifico del turismo che invita tutti i curiosi a provare un assaggio dell’esclusiva “vita da borgo”.

Ma vediamo nel dettaglio il Borgo italiano e di cosa si tratta.

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Vita da borgo: questione di marketing

Decenni di letteratura, di poesia, di ricerca sociale, ci hanno regalato dei racconti suggestivi sulla vita che scorre in queste piccole realtà territoriali, eppure il “vizio” capitalista di trarre profitto da ogni sfera del reale si è impossessato del mito del borgo italiano, cavalcando l’onda di un desiderio sempre più diffuso di allontanarsi dalle grandi città alla ricerca di luoghi avvolti dal silenzio.

Non solo i turisti che visitano il Belpaese, ma anche gli stessi italiani, sono vittime del fascino di queste destinazioni isolate e per accontentare questa tendenza “tutta moderna” le agenzie di viaggio invitano i viaggiatori a rinunciare alle grandi destinazioni a favore dei piccoli comuni nazionali.

È così che gli stessi paesini che per anni sono stati abbandonati, svuotati, resi fatiscenti, sono diventati il prodotto di punta del settore turistico e hanno portato alla proliferazione di start-up, webinar, bandi di riattivazione, servizi promozionali diffusi in televisione, che mirano a guidare il pubblico alla riscoperta dei borghi d’Italia.

Ad alimentare questa nuova attenzione per i piccoli paesi è la pandemia che abbiamo vissuto, che ha segnato un prima e un dopo nella vita delle persone e ha messo in discussione il nostro rapporto con le città e con il territorio come mai prima d’ora.

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I borghi italiani al tempo del lockdown

Ripensando al 2020, quando l’emergenza Covid-19 ci ha costretti in casa per tanto tempo, non dovrebbe stupire il fatto che tante persone, soprattutto giovani, abbiano cominciato a sviluppare un rapporto completamente nuovo con l’ambiente. Stanchi di restare imprigionati tra le quattro mura domestiche, la voglia di vivere esperienze diverse in grandi spazi aperti si è fatta sentire presto e, nelle settimane successive al “libera tutti”, è cominciata la corsa verso i paesi più pittoreschi.

L’aria buona, il distanziamento sociale e quella speciale sensazione di pace e libertà che i borghi hanno sempre suggerito, sono diventati le nuove esigenze post-pandemia e hanno spinto le persone a ricercare un distacco dall’incertezza e dalla quotidianità soffocante, verso un luogo immerso nella natura in cui il tempo scorre in un modo diverso. I borghi sono zeitgeist, mantengono i loro linguaggi e i ritmi a prescindere da cosa succede nelle metropoli ed è per questo che ci hanno ispirato fiducia proprio quando la realtà sembrava spaventarci.

Ma come spesso accade, la memoria gioca brutti scherzi e quando lo spauracchio del virus si è spento completamente, il flusso turistico è ritornato alle sue antiche modalità, verso destinazioni più gettonate come Mykonos, Santorini, Ibiza. E i borghi?

Loro continueranno ad esistere e a preservare nel tempo l’anima più profonda del territorio.