Nel sottosuolo del 13° distretto riprende la storia interrotta nel capitolo precedente di Hunger Games. Una Katniss temprata e cresciuta, una Panem completamente cambiata, un’arena del tutto nuova con altrettanti giocatori per un finale quasi inaspettato.

Signori e signori, benvenuti ai settantaseiesimi Hunger Games!

Prima sfruttata come volto simbolo dell’intrattenimento e della distrazione di massa, poi diventata il corpo della ribellione, Katniss decide di abbandonare i ribelli per cercare autonomamente la propria vendetta, uccidendo il presidente Snow da sola.
Fin qui tutto nella norma, fin qui tutto prevedibile, se non fosse che in questo ultimo capitolo nessuno voleva realmente la protagonista. Tutti la incitano nella lotta, tutti la sostengono. Sarà forse perchè in realtà tutti la volevano morta? Cominciando da Peeta, che ha subìto il lavaggio del cervello; il presidente Snow; la resistenza, perché diventerebbe un martire e unirebbe ancora di più le truppe.
Dopo soli quattro film si conclude una delle poche saghe che è riuscita a unire spettatori di tutte le età, dai 13 ai 30 anni, con un capitolo che è sicuramente degno della conclusione. 
Diretto con molta più concretezza rispetto ai precedenti capitoli, questo film rifiuta qualsiasi idea di eroe predestinato o di gloria: non ci sarà nessun finale epico per Katniss, nessuna scena prevedibile e soprattutto nessun amore proclamato, anche questo in controtendenza con qualsiasi narrazione adolescenziale.

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La grande chiusura della saga ha un riscontro assolutamente nichilista, e sorprende lo spettatore nel trovarsi sempre in comune accordo con le scelte della protagonista. 
È abbastanza evidente che anche in questo prodotto hollywoodiano siano state inserite scene e personaggi volti ad innalzare l’allure della pellicola, partendo dai morti viventi finendo alle grandiosi esplosioni che non si possono negare a nessun film che tratti di battaglie; ma nonostante ciò in Il canto della rivolta – Parte II tornano quei principi di lealtà e purezza che avevamo lasciato nel primo capitolo.
La forza e la tenacia con cui la giovane Katniss Everdeen si batte per non essere solo il bel volto simbolo della rivolta, la capacità di non considerarsi solo immagine animata da una reale sete di vendetta, diventa centrale nella costruzione dell’identità individuale del film. In Hunger Games qualsiasi ripresa mente: non c’è video di repertorio o immagine filmata che non dica il contrario di quel che è accaduto realmente.
Soprattutto se si considera che i protagonisti quali Peeta, Gale, Finnic e gli altri sono stati dati per morti più volte di quante non si siano visti sullo schermo. 

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Hunger Games può inoltre considerarsi un’indiscussa prova recitativa di Jennifer Lawrence, poichè è solo grazie alla sua incredibile capacità di creare empatia che il continuo broncio e la continua insoddisfazione della protagonista non sfociano nell’antipatia. Prova sicuramente più riuscita degli altri attori navigati presenti sul set, quali Julien Moore nei panni della Presidente Coin, il compianto Philip Seymour-Hoffman nella sua ultima interpretazione dello Stratega e Donald Sutherland nei panni del presidente Snow
Altri personaggi hanno contribuito a rendere l’intera saga più leggera, quali gli insostituibili Haymitch Abernathy ed Effie Trinket, interpretati rispettivamente da Woody Harrelson ed Elisabeth Banks. Il testosterone del film è tenuto alto da Liam Hemsworth, fratello del più conosciuto Thor, e Sam Clafin; cerca di entrare tra i due anche Josh Hutcherson, con i risultati più scarsi della storia. 
Una saga, prima ancora che un singolo film, che ha sicuramente lasciato il segno. 

Giovanna Montano