Dalla verità imperfetta di Monica e Chandler al caos estetico di Rue: perché le serie tv di oggi hanno smesso di parlare di personaggi che ci somigliavano davvero

Ammettiamolo: Una volta ci affezionavamo ai personaggi delle serie TV perché ci rispecchiavamo in loro. Ci somigliavano. Avevano qualcosa di noi. Non erano supereroi, non portavano addosso il peso di rappresentare un movimento, un’idea o una battaglia. Erano solo ragazzi che bevevano caffè su un divano, provando a capire chi erano, inciampando nelle emozioni, nella vita, negli altri.
Monica cercava di tenere tutto insieme mentre dentro si sentiva a pezzi, Chandler faceva ridere per non crollare e Rachel cercava la sua identità in un lavoro che tardava ad arrivare. Non servivano finali epici né inquadrature patinate. Serviva solo il tempo di guardarli cambiare. E cambiare un po’ con loro sorseggiando un caffè al Central Perk, come se fossero amici di lunga data.
Poi, con il tempo, è arrivato Dawson, con i suoi pensieri troppo grandi per la sua età. E ci ha fatto capire che anche la vulnerabilità ha diritto di parola. Che non serve avere una soluzione per meritarsi una storia. E Lorelay e Rory ci hanno dimostrato quanto difficile e al contempo bello possa essere un rapporto tra una madre e una figlia, cn tutte le complessità e le complicazioni del caso.
Quelle serie ci concedevano tempo. Di affezionarci, di empatizzare, di restare. Di crescere, come succede nella vita vera.
Non era tutto perfetto. Ma era vero. Eravamo noi.

Serie tv 2.0
Nelle serie tv di oggi, invece, è tutto più veloce. Più brillante. Più estremo. Quasi come se fosse creato per rispettare un’estetica precisa. I personaggi sembrano già “pronti”: ognuno porta sulle spalle un tema.
Identità. Trauma. Dipendenza. Inclusione. Ma raccontati come etichette da rispettare, non come storie da vivere. Come se li si dovesse guardare e ammirare, non immedesimarsi.
Rue di Euphoria, ad esempio, non è solo una ragazza che soffre: è un manifesto. Potente, certo. Ma distante. Allo stesso modo anche Che Diaz in And Just Like That… Rappresenta un personaggio non binario introdotto nel reboot di Sex and the City. Nonostante l’intento di rappresentare la diversità di genere, il personaggio è stato criticato per la mancanza di profondità e per sembrare più una rappresentazione forzata dell’inclusività che una persona reale.
L’eccesso delle serie tv non è profondità
Abbiamo confuso l’eccesso di alcuni personaggi con la profondità. L’inclusione forzata con l’equilibrio. La narrazione con l’estetica.
E nel mezzo, abbiamo perso qualcosa: Il diritto di sbagliare. Di essere incoerenti.
Di diventare, piano, come si diventa davvero. Ad esempio il personaggio della supereroina Marie Moreau in Gen V affronta tematiche come il trauma, l’identità e la sessualità, ma spesso appare più come un veicolo per rappresentare questi temi che come un personaggio con cui è facile immedesimarsi. Manca completamente il percorso di crescita e affermasione che invece era presente nel Clark Kent di Smallville. Un Supereroe dipinto e raccontato come un ‘normale’ teenager con il quale era facile identificarsi, nonostante tutto.
Perchè continuiamo a guardare vecchie serie tv?
Per questo guardiamo ancora le serie tv della vecchia guardia come Friends, Dawson’s Creek, The O.C..
Perché lì c’erano personaggi che, con tutte le loro fragilità, non cercavano di salvarci, ma di starci accanto.
Erano imperfetti, stonati, non sempre “giusti”. Ma umani. Erano come noi e rendevano umana era anche la loro narrazione.
Oggi continuiamo a cercare quella sensazione. Non la perfezione, non la lezione.
Ma una serie che non ha bisogno di dire tutto per lasciarci qualcosa.